COS’ E’ IL DISTURBO DELL’IDENTITA’ DI GENERE?
L’identità di genere è il “senso di se stesso”, l’unità e
la persistenza della propria individualità maschile o femminile o ambivalente,
particolarmente come esperienza sessuata di se stessi e del proprio
comportamento.
Il ruolo di genere è costituito da tutto ciò (comprese l’eccitazione e la risposta sessuale) che si fa per esprimere l’appartenenza a un determinato sesso (o l’ambivalenza in proposito).
L’orientamento sessuale viene definito come la tendenza a rispondere a certi stimoli sessuali, quindi si basa sugli oggetti (persone o, talora, anche cose o situazioni) che riescono a indurre nel soggetto attivazione e interesse sessuale.
Alcuni Chiarimenti
Il Disturbo dell’Identità di Genere o DIG come termine, si riferisce a una precisa categoria diagnostica, che però non esaurisce affatto tutta la gamma della cosiddetta “varianza di genere”, concetto di difficile definizione che, comunque, comprende (Lev, 2004) quanti, rispetto appunto alla definizione e all’espressione di genere, divergono da ciò che è più comune, usuale o atteso, e che comunque non può essere normativo; infatti, come suggerisce Butler (1990), “l’identità originale sulla quale il genere modella se stesso è un’imitazione priva di origine” (pag. 175). In altre parole, non abbiamo un modello di riferimento in base al quale stabilire se qualcosa è, appunto, “variante”.
Il sostantivo “transgender” (oltre all’aggettivo derivato “transgendered”) costituisce un termine “ombrello” o di spettro che include tutte le persone varianti rispetto al sesso (J. Green, 1994). Coniato all’interno del Movimento di Liberazione Transgender, esso “trascende le categorie esistenti e restrittive di identità di genere, è più neutrale a proposito dell’eziologia e comprende la vasta complessità delle manifestazioni e delle identità di genere” (Pfäefflin e Colemann, 1997).
In genere, i “transessuali” vengono considerati una sottocategoria dei transgender. Tale termine non va assolutamente considerato un sinonimo di “persona con DIG”, ma costituisce solo un esito possibile di tale categoria diagnostica (anche se non tutti sarebbero d’accordo con tale affermazione). Shapiro (1991) definisce molto bene questo gruppo, come formato da “coloro che sentono che il proprio autentico genere è variante rispetto al proprio sesso biologico… che stanno cercando di “passare” come membri del sesso opposto [e]… che hanno avuto un intervento chirurgico di riattribuzione di sesso o stanno sottoponendosi a un trattamento medico con la prospettiva di mutare anatomicamente il proprio sesso” (pag. 249). Non tutti i transessuali si considerano dei transgender, in quanto si ritengono diversi da questi in quanto essi desiderano espressamente di cambiare chirurgicamente il proprio corpo e richiedono delle cure mediche di conseguenza.
Caratteristiche diagnostiche
del Disturbo dell’Identità di Genere (DSM-IV)
A. Una forte e persistente identificazione col sesso opposto (non solo un desiderio di qualche presunto vantaggio culturale derivante dall’appartenenza al sesso opposto).
B. Persistente malessere riguardo al proprio sesso o senso di estraneità riguardo al ruolo sessuale del proprio sesso.
C. L’anomalia non è concomitante con una condizione fisica intersessuale.
D. L’anomalia causa disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento.
Eziopatogenesi del Disturbo dell’Identità di Genere
Teorie Biologiche: Secondo gli studi, gli aspetti genetici non sembrano rilevanti nel DIG. Vi sono dei riscontri positivi per quanto riguarda l’ipotesi ormonale; “La teoria dell’“effetto di feedback positivo all’estrogeno” (PEFE; Dörner, 1976). Secondo tale teoria il DIG e l’omosessualità potrebbero essere il risultato di eccessi o carenze di androgeni in utero durante il periodo sensibile per lo sviluppo delle strutture ipotalamiche che regolano la produzione di FSH e LH. La teoria dello stress materno; viene interpretato come effetto di una sensibilizzazione del sistema immunitario materno agli antigeni maschili delle gravidanze precedenti, inducendo così durante la gravidanza del successivo figlio maschio una reazione immunitaria contro il feto stesso, alterandone la androgenizzazione cerebrale
Teorie psicosociali: troppa madre e troppo poco padre; “beata simbiosi” fra madre e figlio; incoraggiamento o almeno non scoraggiamento dei comportamenti dell’altro sesso e non disponibilità da parte di entrambi i genitori. Alcuni autori definiscono alcuni fattori psicosociali.
IL TRATTAMENTO DEL DISTURBO DELL’IDENTITA’ DI GENERE NEI BAMBINI
Il trattamento è difficile e vi è un tasso di drop-out piuttosto elevato, che può arrivare anche al 50%. La categoria con prognosi favorevole sono i bambini cui si fa un intervento precoce. Vi sono diverse forme di terapia:
IL TRATTAMENTO NEGLI ADULTI - La riattribuzione chirurgica di sesso NEGLI ADULTI
In Italia, sono state elaborate delle linee guida (Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, ONIG, 1999) che possono essere così riassunte:
A chi rivolgersi?
Attualmente, in Italia esistono pochi centri specializzati nelle diagnosi e cura dei disturbi dell’identità di genere soprattutto per quanto riguarda la diagnosi e il trattamento nei bambini e negli adolescenti. La comunità scientifica si sta muovendo in tal senso poiché i casi di disturbo dell’identità di genere sono aumentati progressivamente negli ultimi anni; da mille casi negli anni 60 a ventimila casi nel 2010.
Se il vostro bambino manifesta comportamenti che possono sospettare un disturbo dell’ identità di genere, è importante rivolgersi ad un centro di neuropsichiatria infantile oppure ad uno psicoterapeuta dell’infanzia per una consulenza ed una eventuale terapia.